Nel mio nuovo lavoro, nella sua precarietà di lusso, un contratto a tempo determinato, vivo un mondo che non c’e’ piu’.
Il lusso di qualche anno fa, un centro disabili, con tutti i benefit che sono figli del welfare, i laboratori, i mezzi, gli operatori, un buon rapporto numerico tra operatori ed utenti, gli esperti esterni, i progetti.
Una bolla di benessere che sopravvive inconsapevole e residua, mentre attorno la cooperazione sociale collassa nei ritardi di pagamento dei comuni, i nidi e le case di riposo si svuotano, perché le donne tornano al lavoro casalingo e all’assistenza agli anziani, perché i soldi mancano e il lavoro scompare.
Attorno c’e’ la fame, la paura e la crisi che soffoca i nostri omologhi.
Il mio lavoro precario “di lusso”per un anno (e poi vedremo), da coordinatrice (
– pedagogica, la mia matrice formativa, quella no, non la derogo – non mi impedisce di chiedermi quando l’educazione che pratico, e che osservo, e che produco potra’ cominciare a nominare la fame.
Quale fame?
La fame vera e la sofferenza che sempre piu’ spesso leggo (leggiamo?) sul web.
Quando?
Quando cominceremo, con le colleghe e i colleghi con cui ragioniamo su web, nei blog, o nelle equipes e nelle riunioni, nelle assemblee dei soci, nei convegni, a ragionare di educazione al tempo della fame.
Cosa dovremo dire nel tempo in cui i nostri pari, per status socio economico, fanno letteralmente la fame, i nostri vicini di casa, i genitori della amica, il cognato che perde il lavoro.
Cosa saremo (siamo) obbligati a capire nel tempo della fame e la fatica,
smettendo di immaginarle come astrattamente tipiche della nostra utenza, da cui talvolta e per astrazione (o distrazione) immaginiamo (o fingiamo) vi siano distanze siderali.
Un pensiero che nasce da questo link e non solo, e che apre una voragine di domande.
Per le quali, l’educazione, se tale deve essere, nel suo mandato etico e civile non puo’ esimersi dal mettersi in gioco.
Hai ragione Monica e credo che ne stiamo già parlando utilizzando vie differenti per nominare il dialogo tra educazione e vita. Stamane mi pare che i nostri post possano dialogare, integrandosi.
http://igorsalomone.net/2013/03/17/riforma-o-rivoluzione/
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Si, Irene credo che i nostri post comincino a interrogare le nuove criticita’ educative. Ad essi si integra bene anche il post di Christian Sarno. http://biviopedagogico.wordpress.com/2013/03/17/cercasi-lavoro-educativo-il-tuo/
Sono forse i primi segnali che ci stiamo muovendo verso coordinate simili, tutte volte ad ingaggiarci e ingaggiare i colleghi ad uscire dalle bolle educative e occuparsi del mondo che sta dentro ma anche attorno …
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Ricordo i tentativi di bocciatura di una bambina che in scuola elementare (allora si chiamava così) avrebbe potuto continuare a mangiare in una mensa, e invece l’anno dopo, in prima media non avrebbe più avuto questa opportunità. Ce lo chiedeva in lacrime la mamma, ma non avevamo potuto accontentarla.
Oppure una classe di “bambini di strada” già piccoli delinquenti nel loro ambiente degradato.
Ecco, per me non era un mondo intorno, era proprio dentro la mia classe.
E adesso torniamo in quelle situazioni.
E’ davvero pesante già anche solo accorgersene.
Viene in mente che certo, non di solo pane vive l’uomo, ma senza prima quello com’è possibile occuparsi di tutto il resto?
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Bella domanda. Forse come si dice dobbiamo sempre pensare che l’umanita’ deve sfamare due fami, una di cibo una di senso
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