Abbiamo da fermarci, e non solo per stare distanti, per meglio comprendere come (non solo quale) sia la distanza che dobbiamo praticare nel lavoro educativo.
Noi, educatrici ed educatori professionali e pedagogisti come viviamo, cogliendola ogni giorno, la prossimità? Quale sensazione che ci rimanda il corpo quando un corpo altrui entra nel nostro spazio vitale? Come suonano i nostri passi che “vanno verso? ….?
Ci piace attendere l’avvicinarsi di coloro che amiamo, un gesto che ci rende prossimi?
Ci turba ogni folla che preme, attorno a noi, quando siamo costretti a frequentarla; amiamo gli ingorghi stradali quando sciolgono la tranquillità che ci creiamo negli abitacoli?
E quando a teatro o ad un concerto ci immergiamo e perdiamo i confini dell’io, avvolti in quella stessa folla che tanto sappiamo anche temere, che postura abbiamo, come la pensiamo?
Ora* siamo spinti a improvvisare distanze nuove, non scelte, non programmatiche, non scritte da nessuno, su nessun libro, dettate da necessità e paure.
L’argomento vicino/lontano è ben conosciuto dai nostri corpi, è una costante materiale e emotiva che ci mette in relazione con gli altri, e se si intreccia ad un ulteriore modi di misurare (troppo/poco) ci indica modi di stare in relazione:
troppo lontano/ poco lontano
troppo vicino/poco vicino
Allora dobbiamo ritrovarci nel nostro corpo cercando una nuova prospettiva che non sia quella abituale, né consolatoria, per tornare a ripensare le distanza che dobbiamo intrattenere con gli altri.
Occore rispecchiarsi in nuove vicinanze (o lontananze) e altri dialoghi che passino dalla cura minuziosa nell’uso di sguardi, gesti e parola.
Lascio una domanda aperta: se non posso usare la prossemica come comunico con l’altra/o?

e non posso usare la prossemica come comunico con l’altra/o?
*grazie al Covid 19