questo post partecipa all’iniziativa
di Irene Auletta
Allora qualcuno, a mezza voce
“Leggere , ovviamente, è un’altra cosa, leggere è un atto!”
“Hai detto una cosa giustissima, leggere è un atto, l’atto di leggere, è verissimo…”
“Viceversa la tivù, e anche il cinema a pensarci bene … tutto è già dato, in un film, non c’è niente da conquistare, tutto è già preconfezionato, l’immagine, il suono, le scene, la musica d’atmosfera se per caso uno non avesse capito le intenzioni del regista…”
“ La porta che cigola per indicarti che è il momento di avere paura…”
“Nella lettura tutto questo bisogna immaginarselo…La lettura è un atto di creazione permanente”
Altro silenzio
(Questa volta, tra “creatori permanenti”)
Poi:
“Quel che mi colpisce è il numero di ore che in media un bambino passa davanti alla tivù, rispetto alle ore di lettere a scuola. Ho letto delle statistiche, al riguardo”
“Dev’essere qualcosa di incredibile!”
“Un’ora di lettere per sei o sette ore di tivù. Senza contare le ore passate al cinema. Un bambino (non parlo del nostro) passa in media – media minima – due ore al giorno davanti ad un apparecchio televisivo e dalle otto alle dieci ore durante il week-end. Cioè un totale di trentasei ore, contro le cinque ore settimanali di lettere.”
“Evidentemente, la scuola non è all’altezza.”
Terzo silenzio.
Quello degli abissi insondabili.
( Daniel Pennac – Come un romanzo )
Tante volte ho sentito raccontare, da genitori e insegnanti, di bambini molto piccoli che non vedono l’ora di andare a scuola e di fare anche loro i compiti. Cosa succede solo qualche anno dopo? Che fine hanno fatto quei desideri?
Da anni si ripetono, quasi come un mantra, le stesse frasi: “la scuola è in crisi” , “fare i genitori è sempre più difficile”, “i bambini non sono più quelli di una volta… i ragazzi poi, non ne parliamo…” e via di questo passo.
Oggi siamo chiamati come adulti, genitori, insegnanti, educatori, pedagogisti a ritrovare un nuovo senso nell’esperienza della scuola, visto attraverso gli occhi di tutti i protagonisti coinvolti. Mai come in questi ultimi periodi la scuola pubblica è sulla bocca di tutti e, ognuno, è convinto di avere cose molto intelligenti da dire. Può essere.
A me piace l’idea di tornare a farci delle domande, come adulti, e di provare ad allargarle anche ai bambini e ai ragazzi. Probabilmente però, prima abbiamo bisogno di sgombrare un po’ il campo da tutti i pregiudizi e gli stereotipi che in questi anni si sono affastellati nei molteplici luoghi comuni che, ogni tanto, sfuggono anche al controllo dei più attenti, loro malgrado.
Siamo così sicuri che i bambini e i ragazzi non abbiano più voglia di imparare e che non siano più in grado di rispettare la figura dell’insegnante? Pensiamo davvero che la scuola debba deporre le armi e dichiararsi sconfitta?
La mia risposta è negativa su entrambi i fronti e credo che, oggi più che mai, si debbano trovare tempo, energie e nuove idee, per ridare vigore alla scuola, tornando a far circolare pensieri creativi e la voglia di investire sul sapere e sulla sua trasmissione.
Quello che è in gioco è la crescita delle nuove generazioni, la loro possibilità di pensare pensieri propri e originali, la credibilità del ruolo degli adulti e il recupero della memoria come occasione per comprendere e vivere il presente per quello che è realmente.
Pensiamoci.