Il titolo non è un granchè, lo ammetto, ma è il modo più diretto per parlare della questione corpi, disabilità, e cose simili.
Parlo del mio specifico professionale di psicomotricista che in questi tempi lavora con 2 diversi gruppi di disabili, in un CDD, e dello stupefacente incontro che si produce in ogni laboratorio.
Non tanto e non solo perché un diversamente abile in quel contesto riesce a tirare fuori competenze stupefacenti e imprevedibili, ma perché il corpo che lui vive, abita e conosce (da una vita) è denso di possibilità che vanno raccolte e rilanciate, possibilità che noi “normalmente” abili manchiamo di osservare o diamo per scontate. (E peraltro spesso dimentichiamo di possedere)
Lo stupore sta nel fermarsi a vedere ciò che già c’è e viene solo evocato in scena, nel laboratorio, da quella persona accessoriamente disabile, ma sostanzialmente collocata in un corpo pieno di espressività.
Alcuni disabili sono dismorfici, alcuni corpi o volti hanno forme peculiari, alcune spasticità modellano quel corpo. Ma la cultura “popolare” spesso associa l’idea della disabilità al dismorfismo.
Eppure il lavoro che stiamo facendo evoca e ci permette di giocare con quel dismorfismo possibile, e a volte presente o evocato dagli stessi partecipanti al gruppo.
Nell’ultimo incontro abbiamo voluto giocare a fare le brutte facce e gesti bizzarri, estremizzandoli, sfruttandone il potenziale grottesco, facendo ciò che non si deve fare (è forse quello che hanno imparato e si sentono dire).
Boccacce, linguacce, gesti scomposti e scoordinati, o disardinati, o bizzarrie; usati tutti per incontrare l’altro o salutare un compagno incontrato, mentre ci si muove nello spazio. Una partecipante imita il saluto tra due signore (io e lei) fingendo il volo abbozzato della gallina, agitando le braccia. Tutti si godono il fascino potente della trasgressione, del valicare quel limite, e quella regola che ci vuole tutti ben educati ma che spesso è più severa per i disabili. I quali alle volte, devono essere molto più ben educati e composti (di noi), e non infastidire e non dis-turbare nulla e nessuno.
Alla fine tutti rientriamo nella “normalità” e raccontiamo che – appunto – fuori di lì, fuori dal laboratorio, in ogni giorno “quelle cose” non si fanno.
Già, chi saluterebbe il vicino di casa o il salumiere così bizzarramente??
Perché è bello un corpo così? Forse per la ricchezza espressiva che si consente, perché sfugge l’ingessatura di quelle prassi educative molto contenitive, che rischiano di soffocare la bellezza di un corpo che gioca e comunica.