Del fare e del narrare il fare nascere i figli (e i genitori)

Probabilmente il bisogno di diventare genitore arriva anche dal famigerato “gene egoista” che ci impone di replicare la specie, da un qualcosa che impone alle nostre scelte una forzatura.
Ma c’è anche altro.
 
Ci sono figli generati per tenere insieme coppie allo sbando, o per dare un senso ad un adulto infantile che vede nel figlio una sorta di compensazione.
 
Figli generati perché non si sono saputi usare con cura gli anticoncezionali, o per pura casualità.
 
E la poesia della genitorialità sembra così perdersi, svanire ai nostri occhi.
 
A volte, lo dico come professionista dell’educazione, questo genera tante fatiche, che vanno ricollocate, che vanno prese per mano ed accudite, a volte curate come ferite, a volte accompagnate a diventare una storia.
Perché, e questa mi pare una ottima notizia, l’amore si impara, l’educazione si impara, e si impara anche a fare i genitori, ad attraversare un viaggio che dura una vita.
 
Per fare questo ci sono alcune professioni che possono aiutare.
 
Uno degli aspetti belli del mio lavoro educativo e pedagogico è la narrazione.
La possibilità di accogliere chi, da genitore, vuole potersi fermare a raccontare la propria storia, collocandola in un paesaggio, una famiglia, un luogo, un progetto, una casualità.
E allora anche la nascita quasi “per caso” di un figlio diventa parte di una epopea di un amore scoperto, e trovato per caso, costruito, e interrogato e riempito di buone azioni che possono durare una vita, e di significati che si scoprono cambiando e crescendo.
 
Altrettanto è possibile, anche nelle nascite avvenute nelle condizioni ottimali, dove è stato possibile scegliere, desiderare e sognare un figlio, accoglierlo con cura, dover raccontare di nuovo il suo progetto di nascita. Il suo e il nostro progetto di nascita come figlia/figlio e genitori.
 
Perché la vita è anche rimettere insieme le tessere di un puzzle di significati, in cui accadono anche fatti difficili da collocare (as esempio separazioni, malattie, lutti, disabilità).
E anche questi momenti di interruzione possono trovare un posto nella storia che si racconta, e racconta e racconta mille e una volta ancora.
Una storia tutta nostra per crescere e scoprire che si è cresciuti, una storia che cambia e si approfondisce, diventa più importante, che sottolinea nuovi aspetti che non si pensavano prima per permetterci di imparare e insegnare, per mostrare che amare è crescere nell’altro, per l’altro, con l’altro.
 
E ti ricordi c’era il paese in festa
tutti ubriachi di canzoni e di allegria
e pensavo che su quella sabbia
forse sei nata tu
o a casa di mio fratello non ricordo più. (F. Concato)
 
 
L’elaborazione continua, il pensiero pedagogico e la pratica professionale prendono voce e forma all’interno del mio sodalizio professionale e umano dentro a Metas

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