Costruire sapere e smontare pregiudizi.

(Domande e questioni dal sabato mattina)

già pubblicato su Il caffè Pedagogico in data 5 marzo 2017

img Monica Massola
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Riflettevo sul bisogno che abbiamo tutti di cercare libri e manuali che ci permettano di informarci sui problemi che andiamo trovando al lavoro.
Mi ricordo l’avidità di cercare e capire che, quasi, mi obbligava a infilarmi nelle librerie, nelle biblioteche e chiedere in prestito un qualche volume alle colleghe.
La gioia nel leggere qualche autore era molta laddove questi mi illuminasse sulla gestione di un certo servizio o su di certa sindrome.
Lavorando con la disabilità dal 1989 si capisce che di libri ne ho voluti trovare molti, sulle tipicità delle sindromi, sugli aspetti educativi e sociali e psicologici, progettuali, strutturali.
Oggi se penso, per fare un esempio, alle persone (con sindrome di Down) di cui il mio servizio si occupa, sarà perché lavoriamo sul progetto di vita, sarà perché l’offerta è soprattutto “formativa/educativa” e solo parzialmente riabilitativa, sarà perché non abbiamo davanti persone in età evolutiva ma adulti, sento che certe distinzioni si sono dissolte.
Per me e la mia equipe ci sono nomi di persona e non sindromi, non danni neurologici, o psicomotori, sono progetti individuali, che parlano di quella persona, con certe specifiche, le sue passioni, le amicizie e i difetti. Anche se tanti di questi aspetti li trattiamo, sono tangibili e ben presenti nelle prassi.
Ma i nostri libri di testo, e i miei da lettrice accanita quale ero, sono le “storie”, sono diventati anche gli stessi percorsi di vita, in cui la sindrome di Down (per tornare a questo esempio) si scioglie come parola, e testo narrato e appreso nelle prassi educative, e ancora diventa caratteristica, fra le altre che determinano una persona, che fra le tante cose è – anche – un utente del servizio.
Sapere fare il passaggio dai testi alle narrazioni diventa una struttura professionale e adulta, che può scardinare i pregiudizi, e la tassonomia, quelle che fenomenologicamente e necessariamente stanno contenute in alcuni testi o lezioni ci hanno insegnato.
Forse è per questo che oggi accanto ai testi scientifici e tecnici (bibliofili si rimane per tutta la vita), ascolto le storie dei corpi, le narrazioni sotto traccia che riconducono alle persone, che non possono stare chiuse nelle diagnosi o nelle macrocategorizzazioni (adulto, minore, Bes, disabile, senza fissa dimora, caso sociale, autistico, tossicodipendente, psichiatrico e via dicendo, ognuno sa le categorie e le sottocategorie che poi il proprio lavoro gli/le sottopone ).
Oggi ascolto di più e mi impongo di leggere oltre e ancora, nelle parole degli altri tecnici, oltre le loro tracce, nelle storie di famiglia, tra le righe delle cartelle educative, e delle schede anamnestiche, andando oltre a tutti quei pregiudizi che lo studio e anni di lavoro riescono a smontare, per montarne di nuovi, o trasformandoli quando ne siamo capaci in nuove categorie di analisi e di sguardo
È un lavoro continuo sulla mia cultura e sulla mia formazione di base, per tenerle attive e attente.
Mi chiedo se questo ce lo abbiano insegnato, oppure no, e se lo abbiamo imparando strada facendo o se siamo noi che dobbiamo farne narrazione e scrittura affinché diventi patrimonio, non ideologico ma tecnico, di chi si occuperà di educazione e pedagogia.

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