Tra qualche genitore un po’ becero che impone la sua visione della scuola dichiarando che il suo bimbo non farà mai compiti, e qualche insegnante e/o scrittore confuta, con bella prosa, la necessità dei compiti a casa.
Poi ci sarà qualcun altro che scriverà con altrettanta sagacia della versione contraria, i compiti non servono e all’estero, si lì, c’è sempre qualche paese più innovativo, nella didattica che compiti non li fa più.
Così ci si sente chiamati per la giacchetta a pronunciarsi pro o contro. E alla fine ci sarà certo qualcuno che difenderà la teoria del “ai miei tempi si faceva così”.
Il problema sarebbe (forse) di voler vedere quello che ci sta tra l’una e l’altra posizione, senza necessariamente scegliere.
Ai miei tempi (appunto) si giocava in cortile , e per strada, per lunghi pomeriggi. Eravamo gruppi di bambini, tutti figli della scolarizzazione di massa degli anni 60, dove la scuola era quella bella, e partecipata anche dai genitori.
Dove il livello di istruzione tra docenti e genitori era sostanzialmente asimmetrico. Oggi di sovente non solo i genitori possono essere più istruiti delle maestre, ma talvolta anche più dei docenti della scuola secondaria di primo e anche di secondo livello.
Ai miei tempi tutt’al più si faceva ginnastica correttiva nella stessa palestra della scuola, e l’intervallo si giocava in cortile a giocare, intervallo era abbastanza lungo. I bambini giocavano, e tanto, all’aperto, in gruppi disomogenei per età, sotto lo occhio più o meno vigile della portinaia o di qualche mamma che non lavorava.
Ai miei tempi tante mamme non lavoravano, oggi lo fanno in tante. E il livello di istruzione medio, anche delle madri, è aumentato.
Ai miei tempi i programmi scolastici erano più stringati e focalizzati sulle abilità di base; come madre ho scoperto che alcuni contenuti che io ho appreso alle scuole superiori mia figlia grande li ha studiati alle scuole medie.
Ai miei tempi si giocava l’elastico o in giochi di gruppo, e i maschi giocavano a calcio in prati (non campi) più o meno organizzati, e la porta, quando andava bene, erano due assi posizionate per terra. Le femmine, ancorché giudicate incompetenti, a volte potevano fare l’arbitro o il portiere. Nessuno si sognava di avere l’abbigliamento giusto.
Ai miei tempi c’era solo un mio compagno, delle medie, che faceva uno sport strutturato: il tennis. E se non erro la cosa avveniva solo perché suo padre aveva in gestione un campetto di tennis.
Ai miei tempi le vacanze, per i più fortunati, si facevano con i genitori, talvolta non si facevano del tutto, oppure siandava nelle case dei nonni. E le grosse aziende offrivano ai figli dei dipendenti pacchi regalo in dono a Natale, con giochi e libri, e le colonie estive al mare o in montagna, per favorire il lavoro dei genitori che stavano in città.
Amici tempi e televisione era solo in bianco e nero dopo qualche anno è diventata colori ed è iniziato quell’altro apporto di intrattenimento televisivo di massa.
Ai miei tempi non c’era Internet e nemmeno gli smartphone.
Ai miei tempi si parlava dell’ integrazione dei flussi dei meridionali; ma non erano bambini migranti che arrivano da scenari di paesi estremamente lontani e portatori di grandi differenze linguistiche, culturali, alimentari, religiose, o forse si? Ma di certo non arrivavano, in fuga da guerre morte e devastazione
Ai miei tempi i bambini disabili andavano nelle scuole speciali. E non c’erano insegnanti di sostegno in classe e la cultura della disabilità non prevedeva che stessero a scuola.
Ai miei tempi tutta l’Italia aveva bisogno di andare a scuola, aveva bisogno di alfabetizzazione e di innalzamento del livello formativo, che ammortizzasse e rendesse omogenea la base culturale che ricevevano in famiglia.
Oggi i bimbi vanno al cinema, a volte teatro, a volte sentire musica o festival e spettacoli: sostituiscono parte dell’attività pomeridiana libera all’aperto con attività strutturate di tipo sportivo, o espressivo, o artistico. Frequentano musei dove le attività laboratori sperimentali superano di gran lunga qualsiasi offerta didattica, dove con il gioco si insegnano sperimentatore, scienza, arte, storia e cultura sin da piccolissimi. Fanno laboratori in cui imparano con le mani e con il corpo. Sono bambini incuriosito e stimolati, spesso da genitori divertiti nell’accompagnarli in quel viaggio nel sapere. Ai miei tempi, di oggi, noi genitori ci poniamo il problema di istruire in questo modo i nostri figli, godendoci con loro questa immersione nel sapere.
Ai miei tempi non si sapeva che in Italia ci fossero le eccellenze della Reggio Children, e non c’era il bisogno di riportare gli asili nel bosco, perché i bambini giocavano nei prati e nelle strade, saltavano e correvano in spazi grandi e aperti, e facevano esperienza del mondo in gruppi informali non condotti da adulti. Ai miei tempi non si conoscevano i modelli della didattica che esistono in altri paesi, i genitori non erano informati, non avevano parametri di confronto per giudicare la scuola.
Ai miei tempi non c’erano tutti i bimbi diagnosticati come BES/sintromi di iperattività etc. C’erano i bambini monelli. E ancora non sappiamo se nuovi bisogni educativi speciali arrivino dalla carenza di motricità libera o siano una deriva del modello culturale attuale o solo siano rilevabili grazie nuovi strumenti diagnostici.
In tutto ciò la scuola si mostra, a macchia di leopardo, in alcune sue eccellenze, e in alcune sacche di “vecchia scuola” che non sa collocarsi in uno scenario nuovo.
Mi viene da dire su questa scena, ora appena descritta, forse non contempla altre complessità e sicuramente molte ne lascia ai margini.
Ma su questa scena la questione compiti si complica un pochino, perché i compiti entrano in una sfera molto più complessa. Da un lato ci sono tanti bambini che imparano i contenuti culturali in modo molto disomogeneo tra loro, alcuni lo fanno in modo molto stimolante. Inoltre la gestione del tempo libero è anche frutto di pressioni sociali (non sempre evidenti) volte ai genitori chiamati a stimolare i figli, indirizzandoli verso lo sport e altre attività.
Allora la questione assume qualche connotazione un po’ diversa … purtroppo non ci sono risposte che le famiglie possono darsi se anche la scuola non si interroga sul suo interagire con un mondo che mette grandemente in crisi la didattica sin qui usata, se non guarda all’incredibile groviglio della modernità.
Post apparso su Facebook in data 10.10.2016
Immagine @pontitibetani