Dice la mia amica M., donna saggia, che i presupposti dell’amore per una persona stanno nella stima che riponiamo nell’altro.
In sintesi non si riesce ad amare una persona se non la si stima.
E in caso se manca quella, all’amore, finisce per mancare un presupposto fondamentale.
Ci sarebbero anche l’allegria e il divertimento condiviso, che secondo me fanno un altra parte della base di una affettività condivisa, ma non è qui in oggetto. Per cui meglio tralasciarla.
Stamane mentre lavavo i piatti, ottima attività meditativa coatta, mi sono accorta che l’assioma valeva per ogni genere di amore, quello della mia amica, che si vede sopra in corsivo.
Stimare l’altr* è avere fiducia nella sua capacità attuali e potenziali, e lasciarl* libero di essere se stess* e divers* da noi, e da quello che desidereremmo per lei/lui, e che lei/lui facesse per noi o con lei/lui.
Stimare la differenza, il disaccordo, le discrepanza, il ritmo diverso di fare e pensare, il tempo che l’altr* occupa per noi e con noi.
Stimare anche prima, a prescindere.
E’ un prerequisito, si diceva, qualcosa che viene prima, che è uno dei fondamentale.
Riguarda la libertà dell’amore, o che l’amore deve concedersi e concedersi.
Ma credo non sia necessaria, credo, all’innamoramento, per via di tutti quegli ormoni fulminanti in circolo, peraltro carinissimi ed efficienti allo scopo, ma spesso svianti.
Mentre la stima trova senso e senno se connessa all’amore, non solo romantico o di coppia, ma anche all’amore in senso lato.
Ti stimo, do peso e valore a ciò che sei, liber* anche se divers*, adatt* anche se simile.
Stimo l’alterità e la possibilità ad essa connessa.
Difficile che quindi l’amore sia connesso con le accezioni di ciò che possiede, trattiene, decide, definisce, giudica, obbliga l’altr* ad essere ciò che è nel nostro pensiero. Interpretando come non amore la differenza.
Cosa ce ne facciamo se volessimo insegnarci reciprocamente ad amare, insegnarlo ai figli, ai bambini, agli altri?