Questo post nasce come rielaborazione di un pensiero nato grazie ad una discussione nata sul gruppo facebook Il caffè pedagogico.
Una necessaria premessa: ritengo il web un fenomeno interessante e culturalmente ineliminabile (il nostro mondo e modello di economia, informazione, politica, dati, ricerca etc viaggiano su strade digitali), pertanto esso rappresenta un attraversamento storico e sociale che ogni adulto che si occupi di educazione o che abbia uno sguardo responsabile non può evitare. Ciò va fatto analizzandolo, informandosi/formandosi a coglierne limiti e possibilità. Aggiungo che anche personalmente il “mondo web” mi piace e intressa molto.
Così lo sguardo che portiamo, noi che ci occupiamo di educazione e pedagogia non può solo poggiarsi sul singolo fenomeno del cyberbullismo, traduzione moderna e velocizzata del bullismo, o sulle capacità genitoriali o sulle endemiche difficoltà scolastiche nel fornire istruzione ed educazione in un mondo diverso e in mutamento, ma va diretto anche al mondo adulto che manifesta, attraverso il cosiddetto hate speech, una potenzialità comunicativa e/o narrativa contenente una reazione al mondo, ai pensieri altrui, violenta a parole e nei contenuti.
E’ abbastanza probabile che l’apparente anonimato del web sciolga, anche negli stessi adulti, la percezione di un tessuto sociale capace di contenere i comportamenti meno civili, questo è un errore cognitivo, poiché il web trattiene e fa trasparire tutto. Allora forse al cyberbullismo, che legittimamente preoccupa che si occupa di educazione dei giovani, si risponda anche formando gli adulti; quindi formando tutti noi (in quanti non siamo incappati in un fame o lite digitale, in quanti riconosciamo un troll in un gruppo – persona ostinatamente intenzionata buttare benzina sul fuoco – isolandolo prima che un luogo pacifico di discussione diventi un vespaio radicalizzato di insulti, in quanti sappiamo da subito gestire una discussione evitando che diventi un contenzioso tra pro e contro?).
Chi lo sa fare, lo ha imparato a sue spese, scoprendo la necessità di modulare e mediare, pensando e esercitando un nuovo modo di agire: si riflette prima di inviare un commento, si deve equilibrare il tono “emotivo” in una conversazione scritta (cosa assai difficile perché la comunicazione non verbale, nella vita materiale, ci aiuta tantissimo a chiarire la comunicazione verbale e i toni emotivi, grazie alla presenza del corpo). Ci si è attrezzati ad imparare, a proprie spese, nel cambiare il mondo di scrivere, si usano le emoticon nel tentativo di riscrivere la sottotraccia emotiva. Si impara e ci si corregge, si smette di reagire o ci si stacca dalle discussioni o dai commenti violenti.
Avete presente certi commenti adulti, sotto articoli, post, etc, che risultano soffocanti nel loro essere troppi, offensivi, cattivi, inutili, rabbiosi e inutilmente faticosi?.
Allora si, diventa evidente che esiste un grande lavoro da fare attorno alle prassi ai pensieri e alle teorie (anche educative) attorno al mondo che cambia e va compreso, sperimentato, tradotto, insegnato; usando le nostre conoscenze del mondo materiale e culturale per arrivare a comprendere i confini del mondo digitale e culturale in cui ci muoviamo e che andremo a costruire.
Quindi oltre alla scuola, oltre ai bulli (cyber o meno), oltre alla famiglia, abbiamo da predisporci a generare una buona cura educativa del mondo che si sta facendo, costruendo cultura, narrazioni, divulgazioni, scienza e didattiche…
Non è cosa da poco.
articolo pubblicato su facebook il 24 gennaio 2016