Ultimamente il servizio per persone con disabilità che coordino sta mettendo mano alla programmazione e alla riprogettazione delle attività.
Il che significa modificare concretamente la quotidianità di operatori e degli utenti, riformulando gli orari, o cambiando le appartenenze ai gruppi o ai laboratori: concretamente Mario sarà in gruppo con Maria, e Paolo non andrà a fare riabilitazione con Paola*. Ma cambiare le attività quotidiane, di persone con disabilità, non è semplice; si toccano comportamenti e abitudini rassicuranti, o stereotipe. Bisogna agire con attenzione. Gli operatori stessi devono immaginarsi diversi, intenti a fare azioni nuove, o in modo diverso, prestando attenzione a come organizzeranno le attività e nuovi gruppi che dovranno condurre. Funzioneranno? Piaceranno? Aiuteranno a raggiungere obiettivi?
Insomma stiamo entrando in una dimensione progettuale nella quale è necessario mettere disordine per generare un nuovo ordine.
Così, per arrivare a generare cambiamenti, che permettano pensieri, idee, progetti innovativi per chi lavora in un servizio da svariati anni, implica un coordinamento attento a cambiare le richieste su laboratori e attività, stimolare/generare spostamenti (es. rotazione operatori), offrire nuovi sguardi, mettere dubbi, modificare l’uso degli strumenti abituali (progetti individualizzati), fino a scuotere le abitudini che infastidiscono tutti ma sono care e rassicuranti.
Insomma si propone un nuovo ordine e si predispone un bel po’ di disordine.
…
Ultimamente anche sto mettendo mano, come supervisora**, alle partite educative di altri tre servizi. Concretamente faccio domande, chiedo il senso di alcune azioni o programmazioni educative, aggiungo dubbi, propongo visioni del servizio nuove, esterne, a volte persino incongrue. Insomma spariglio le carte e faccio disordine nell’ordine organizzativo e mentale dei membri dell’equipe. Aggiungo parole nuove, e faccio domande apparentemente scontate, che aprono discussioni sull’ovvio, sul risaputo, sulle abitudini, sull’ordine mentale che ognuno si è creato, attorno alla propria routine professionali, o sulle necessità dell’utenza.
Entro nell’ordine degli altri, creando confusioni, e quindi disordine.
In entrambe i casi sarà necessario una nuova omeostasi tra ordine o disordine, e l’introduzione di un pensiero su quanto è davvero importante, e questo non occorre, su quanto va rispettato, e quanto va cambiato, in quanto concorre al miglioramento della vita dell’utenza, e alla crescita professionale e quanto va tenuto da conto perché funziona, ed è utile.
Bibliografia minima:
Il segno dell’altro – a cura di Igor Salomone – Franco Angeli
*Nomi di fantasia.
** Facciamo che la questione di genere la tematizzoanche qui.