Del giornalismo trash, della droga e del diritto alla narrazione

Mi immagino vi siate accorti di quanto i media stiano calcando la mano sulle morti “da droga” in discoteca, con le solite modalità strumentali allo stressare la notizia, abbigliandola in modo da renderla più appetibile (inquietante, strillata, semplificata, giudicante, trash, volgare o impietosa) e quindi vendibile.
Come ovvia conseguenza il web, e tutto il suo circuito di commenti ora volgari e sprezzanti, ora pietistici o indignati  si attiva e viene fomentato da opinioni e opinionisti che cominciano vociare e ronzare come un alveare impazzito.

I giovani inquieti che confondono sballo e divertimento.
I cattivi gestori di cattivi locali dove si vende “la droga”.
I genitori disattenti e incapaci di mettere regole.
La politica che si indigna e inalbera.
La maleducazione imperante.
I bravi ragazzi non fanno “quelle cose”.
(I titoli e i commenti sintetizzare anche così.)

E quindi?

Dove ci andiamo a collocare, noi?

Poniamo di essere adulti con figli adolescenti, e/o educatori per professione, che conosciamo le storie che i figli/utenti ci raccontano, di amici fragili o inquieti, e che lo sono indipendentemente dal taglio di capelli, dal numero dei piercing o dai tatuaggi, dalla lunghezza delle minigonne, dalle sneakers di marca.
Storie che sono simili a quelle dei ragazzini che sono morti per sostanze in discoteca, e che non si comprendono attraverso l’analisi delle scuole frequentate, dai vestiti, dallo status socioeconomico; arrivano dai racconti dei loro coetanei che abbiamo in casa o nei servizi in cui lavoriamo e interrompono le parole sulle solite cose della scuola, sull’inizio di un amore, sul concerto da andare a vedere;  attraversano l’aria surgelandola, mentre gli stomaci adulti si contraggono, perché ricordano le voragini dell’adolescenza, dalla quale nessuno di noi è stato esentato, con il suo corredo di paure, incertezze, domande esistenziali, e mode da condividere.

Quaranta cinquantenni vi ricordate com’era il mondo della nostra adolescenza, la consapevolezza attorno all’eroina usata da un coetaneo, (quello che magari da lì a qualche anno sarebbe morto di aids, prima che i farmaci mettessero sotto controllo la malattia?). Come vivevamo l’incontro con chi ci chiedeva in metropolitana: <<Ciao, cioè, cazzo, c’hai cento lire per un panino?>> , sapevamo che le 100 lire sarebbero finite nelle mani di uno spacciatore? Quanta consapevolezza ci attraversava? In che modo gli adulti, spaventati e impotenti nominavano il fenomeno? Ve lo ricordate?

Io ricordo questi incontri, e le sostanze che giravano, quello che si diceva che girasse fuori dal liceo, gli amici e le canne che si facevano. Non ricordo una grossa paura, era parte di quello che c’era attorno a me, insieme allo studio, gli amori e i primi baci, gli ultimi anni della contestazione studentesca e le manifestazioni, i primi dischi che cmi sono comperato, la primavera leggera dei 16 anni.

Ma ricordo qualche cosa d’altro.
Un “qualcosa” che ben si accompagnava all’inconsapevolezza, che provava a dare forma alla storia che vivevamo, oggi mi sembra tutelante. Vi ricordate che ogni cosa chiamava al dibattito? E c’erano persino i postumi della controcultura psichedelica che aspiravano a dare una cornice di senso al fenomeno droghe, ponendole fra l’altro come nobile provocazione verso un mondo adulto da cambiare. Ci piaccia o no era lo scenario che dava un nome alle esperienze, agli incontri, ai rischi che accadevano. Assieme a quello vivevano appunto i dibattiti, e i primi operatori sociali cominciavano la loro opera di contrasto, di azione terapeutica, di cultura sulla prevenzione, informazione destinate ai giovani, e infine di cura destinata ai tossicodipendenti.
Insomma di droghe si parlava, talvolta male, talvolta con una ignoranza adulta e preoccupata, talvolta come discussione possibile tra giovani, e tra adulti. Talvolta i due mondi si incontravano e si scoprivano  le parole, i rischi, gli interessi della mafia e del denaro sporco, e la possibilità di curare o assistere e per fortuna anche la possibilità di prevenizione.

Solo il senno di poi, che arriva da adulti, ci ha permesso di capire che sfioramenti, che seduzioni ci erano lanciate attorno alle sostanze, e a porci altre domande. Che inconsapevolezza ci aveva definito come giovani, e che fortuna ci aveva permesso di incontrare alcune opzioni invece di altre; e in che modo ci era stato permesso di diventare adulti non persi e non dispersi nella chimica delle sostanze. L’opzione di evitamento delle esperienze pericolose con le droghe era arrivata dall’educazione familiare? O per la sorte o fortuna, per una intuizione l’intuizione, o la mancanza di curiosità, la serietà, i valori morali, lo studio, l’amore, la stima di se, la compagnia, il quartiere, i soldi …..? Lo sapreste dire? Forse abbiamo mixato tutto e ci siamo fatta una idea di quel tempo.

Nel frattempo la questione droghe carsicamente scompare dalle notizie, e riappare quando occorre fare politica trash, riempire le pagine dei giornali, aizzare la folla. Come in questi giorni.

Quando leggo alcuni commenti (se non peggio gli articoli) mi chiedo in che mondo siamo vissuti i giornalisti, e alcuni miei stessi coetanei, se non nel mondo  dei mini pony, o di Minni e Topolino?

Non sanno? Non ricordano? Eppure non si trattava di vivere nei quartieri malfamati e avere lo spaccio sotto casa, ma di osservare chi si incontrava in metropolitana, di leggere i giornali, e ascoltare le notizie ingenue ma preoccupate lette da serissimi giornalisti Rai. Stavamo già in un mondo denso di informazioni e discussioni (forse meno sbragate e più rispettose) in cui aveva senso e valore leggere e documentarsi.
Si può fare anche oggi, persino più comodamente,  leggendo con un minimo di attenzione e sagacia, le notizie sui Social, evitando solo le notizie strillate.
La droga non è scomparsa, sono mutate le forme e le sostanze e i consumi. Ma nemmeno troppo, se leggete anche solo la sintesi che ne fa Wired.

Ciò che sembra esser scomparsa è consapevolezza che come adulti siamo doverosamente parte del mondo, e che di quel mondo ci tocca occuparci, informarci, leggere e documentarci. Sfuggendo ogni dato banale e offerto in maniera fuorviante.

Siamo parte di quel mondo e consapevoli, come accadeva allora quando eravamo giovani, quando vedevamo e sapevamo (con inconsapevolezza) che le droghe erano entrate più o meno potentemente nello scenario delle nostre adolescenze; che miti, adulti, attori e musicisti ne facevano uso e talvolta ne morivano, ma accadeva anche al  vicino di casa.

Insomma attorno al tema  “droga” stiamo informati, ci abbiamo convissuto almeno culturalmente 20/30 anni fa, ricordiamo le nostre ” storie”, ciò che se ne diceva, e che ci circondava.

Non banalizziamo le nostre storie, il nostro passato, le conoscenze e i saperi, non facciamoci scandalizzare dal giornalismo spazzatura (è appunto roba “zozza”, feccia, schifezza), o dalla idiozia violenta e vergognosa di certuni commenti, affrontiamo il quotidiano delle morti tragiche da discoteca per ciò che sono.

Tragedie private e terribili, disgrazie tremende e abissi di dolore che riguardano famiglie intere, e che non possono essere violate.
E che sono al tempo stesso racconti reali di un mondo denso di pericoli anche per i più giovani .. un mondo che comunque abbiamo conosciuto, e a cui abbiamo pensato per diventare adulti portatori di storie e di saperi.

In virtù di questo, sappiamo anche che valore abbiano avuto in passato gli spazi formativi, il dibattito culturale (non i flame beceri), la scuola quando sa parlare di quella vita, che accade oltre la trigonometria.

Sappiamo inoltre cosa significhi trovarsi in rete con altre persone adulte (e questo post nasce così) che si confrontano e si raccontano ciò che sanno, e riflettono sul senso di quanto vada insegnato, spiegato ai figli, per dare un valore al nostro passato, all’inconsapevolezza che ci alleggeriva le giornate, ma anche alla fragilità, ormai superata, connessa al crescere in un mondo, sempre e comunque complesso.

Vale la pena di provarci, laddove è possibile, rivendicando il diritto/dovere di contrastare la spazzatura dilagante. Non smettere di parlare, di pensare, di rivendicare la complessità, la dimensione storica e culturale dei fenomeni, di raccontare le storie che ci hanno resi adulti, di complessificare e cercare di capire per prevenire.

Relazione Annuale 2014 – situazione internazionale e nazionale del narcotraffico
http://www.poliziadistato.it/articolo/view/38995/

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