Si moltiplicano le riflessioni adulte (anche da professionisti dell’educazione) sui rischi attorno all’uso del Web da parte di giovanissimi e giovani, tra due posizioni estreme, di chi insegna, o segnala, o paventa spaventato i rischi e tra chi se ne disinteressa, magnificando ogni innovazione. Probabilmente la verità si colloca in uan posizione assai sfumata, tra le due opposte.
Ma essere adulti deve per forza indurci al gioco degli estremi?
O a farci dimenticare c’è un mondo adulto che fa un uso altrettanto inconsapevole, o pericoloso del Web, che sconfina, quando è strumentale, nell’oggettivazione dell’altro, o nella violenza o si riduce nella fruizione passiva della realtà, una inazione che non crea o immagina? Guardiamo quindi alle nostre derive o alle loro?
Chi siamo quando parliamo o guardiamo i “giovani”?
Perché le domande parlano con le note della paura, perché le domande diventano sovente giudizi inderogabili?
Perché non si alimentano di stupore e curiosità?
Siamo così poco interessati alla magia dell’altro che cresce?
Uno strumento che diventa interazione, comunicazione, creatività possibile (nel e con il web) è colto nel potenziale di minaccia e non di viaggio.
E poi … ci sono parecchi giovani, che producono contenuti e li condividono, li modificano o li inventano ex novo. Cambiano gli stili, li imitano, de-costruiscono, innovano. Come ai tempi delle prime radio private negli anni ’70 .. chi si ricorda ancora il fermento di allora e l’esplosione di conoscenze musicali, tecniche, e di produzione attorno a nuovi contenti e stili?
Certo non tutti i ragazzi lo fanno ma in tanti ci provano, si sperimentano, oquanto meno ne condividono il fermento.
Ci offrono la loro legittima a scoperta di una possibilità di azione innovativa, e creativa, condivisa.
Cosa ne pensano? Glielo chiediamo?
E prima di capire, e prima ancora di chhiedere non varrebbe la pena di soffermarsi ad ascoltare e a guardare, con maggior curiosità?
L’ha ribloggato su La Bottega della Pedagogistae ha commentato:
Dalla collega di Metas una lunga serie di interrogativi che condivido ai quali aggiungo:
Possibile che abbiamo abbandonato lo studio dei corsi e ricorsi storici appena usciti dalla scuola? In fondo la paura ogni volta che è entrata come variabile di interpretazione della società ha portato a fragilità e fratture costruendo muri insormontabili fra le generazioni come anche fra le culture.
Perché dobbiamo guardare al web e ai social con lo sguardo del terrore e di quanto possono deprivare invece che impegnarci ad attivare percorsi positivi e costruttivi dove ci si forma all’inclusione del mondo digitale in una formula olistica di mente-corpo-web?
Come pedagogista clinica io da sempre ho integrato il mio Airbook Apple all’interno di alcuni progetti educativi, offrire la possibilità di creare dal materiale al digitale è offrire un’altro spazio di immaginazione e cambiamento alla persona.
Voi che ne dite!?
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