Non si accede al mondo se non percorrendo quello spazio che il corpo dispiega intorno a sé nella forma della prossimità o della distanza dalle cose.
È uno spazio che sfugge ad ogni sistema astratto di coordinate perché risponde solo a quella serie indivisibile di atti che consentono al nostro corpo di dislocare le cose sopra o sotto, a destra o a sinistra, vicino o lontano, ottenendo così un orientamento e una direzione. U. Galimberti – il corpo
Con la collega amica Vania Rigoni, della Bottega della Pedagogista, ci stiamo inseguendo in una sequenza di post attorno alla scrittura e alla corporeità, e sulla scia del pensiero di Umberto Galimberti metto in forma qualche pensiero aggiuntivo.
E lo spazio ritorna nella capacità grafica del bambino nel lasciare i primi segni sul foglio, all’inizio senza rispettare i confini del foglio, talvolta creando nuovi spazi grafici (muri di casa, divani, mobilio in genere non destinati allo scopo), dove tracciare linee piccole grandi, e segni, espressione di forza e di esplorazione, prima di accedere al disegno vero e proprio, e quindi alla scrittura.
In quell’uso dello spazio grafico, sta ancora la propria esplorazione del mondo, la scoperta infantile delle dimensioni dello spazio attorno a se, del rapportarsi al mondo, e quindi della sua rappresentazione (grande/ piccolo vicino/lontano sopra/sotto davanti/dietro), che è geometrica ma anche impastata di vita vissuta (vicino alla mamma, sotto il tavolo, dietro al fratello).
Questo sarà tra i precursori della parola scritta, in cui narrarsi (usando diversi codici colore, forma, disegno, parola scritta) espandendo nel gesto scritto le dimensioni e la propria storia personale e la propria iscrizione al mondo.
Sarà il primo modo di lasciare il segno vissuto di sé.