Benché educare e formare rappresentino la mia professione, non saprei, adesso, cosa elencare per fornire un decalogo, appena decente, per una educazione alla bellezza.
Appena avrò tempo comincerò a leggere gli articoli del blogging day convinta che qualcosa troverò tra i vari contributi.
Se penso alla bellezza penso alla sensazione di stupore potente e “raggiante” che prende all’improvviso, e porta via dalla quotidianità, che rapisce, e rende speciali alcuni momenti. Immerge in una gioia, quasi fuori luogo, quando lo sguardo si appoggia su un elemento che trasmette, mostra è “bellezza”.
Io credo che la cifra del bello sia individuale, e non parlo dell’arte o dei canoni estetici e generali della bellezza, e nemmeno della bellezza “culturale”, le parrucche incipriate e le crinoline, i canoni della grecia classica, le modelle photoshoppate, parlo di ciò che intendiamo nel profondo, quasi arcaico e non accora formato dalla cultura personale.
Ciò che emoziona del bello si costruisce nelle emozioni potenti che stupiscono i pensieri, o aggrovigliano lo stomaco, e che aprono ad una attenzione all’altro, a ciò che è altro e diverso da me, dal mio pensiero momentaneo.
Ora, in questo istante, non saprei dire come educare al bello:
è forse leggere, ad un altro, libri ad alta voce che raccontino di ciò che è umano, vitale, intenso?
è forse viaggiare per musei meravigliandosi per le opere della natura o dell’intelletto umano?
è restituendo uno sguardo attento e gioioso davanti a ciò che un figlio impara e mostra di se?
è andare a teatro, o al cinema per fare scoprire i mille modi di raccontare una storia?
è portare qualcuno al mare o in montagna a guardare un orizzonte senza fine apparente?
Sarò felice di capire come.
Se penso al bello, e data la mia professione, penso alla bellezza dei gesti, dei gesti di cura ed accudimento verso gli altri, quando con le parole o con i movimenti accompagno l’altro, scegliendo una gesto che “ci fa stare bene”, che permette di stare insieme, che trasmette o trattiene emozioni, che ne da una forma.
Penso a qualche giorno fa quado ho accolto la crisi di un utente disabile, sollevando da quella fatica i miei operatori, per accompagnare questa persona, con le parole, verso un momento di maggior benessere, scegliendo accuratamente il tono di voce migliore per placare la sua ansia, e immaginando le parole più adatte da utilizzare che le arrivassero in mezzo al suo mare di paure, o cercando un ricordo (bello) che la riportasse a guardare la realtà con occhi più sereni. E’ stato un atto di bellezza, vederla “planare” di nuovo nel quotidiano e concreto, senza più dare ascolto alle sua paure.
E’ bello quando vedo i miei colleghi fare queste stesse azioni di cura, o quando mi raccontano o leggo i gesti concreti di aiuto ed educazione che permettono agli altri di muoversi diversamente o fare scelte nuove.
Il bello nel lavoro con la disabilità, (è il campo di lavoro che abito da più anni, in prevalenza) sta la capacità di vedere sempre oltre, vedere ciò che c’è di totalmente umano e uguale, di profondamente ricco di emozioni e comunicazioni, di uguale e non diverso, solo sfumato o graduato diversamente, e che stupisce sempre incontrare. Incontrare l’umanità altrui, profonda e svuotata di tante sovrastrutture è un momento di bellezza. Non vale solo per le persone con disabilità.
Penso al corpo che sa muoversi per entrare in sintonia con gli altri (mi sto riferendo nello specifico ai laboratori di psicomotricità per bambini, o la formazione per adulti a mediazione corporea che conduco o in cui sono stata formata), penso ai corpi che riescono a produrre bellezza nel movimento, nel gioco, quando scoprono di stare bene e senza imbarazzo, quando scoprono la gioia di non essere giudicati ma guardati e scoperti con curiosità “piacevole” dagli altri.
La bellezza non so insegnarla, io credo, ma la vivo ogni giorno. Il mio lavoro è bello, ricco e emotivamente formativo; alcuni gesti professionali che faccio sono belli quando trasmettono la cura e la delicatezza e l’intenzione di creare ponti e connessioni con gli altri, ponti e connessioni che aiutino a stare bene, e a lavorare meglio e sentire la bellezza dei gesti che professionalmente si sceglie di fare, e a pensare in modo piacevole ricco e creativo, e a comprendere un concetto ostico e andarsene con un sorriso.
Ecco ed infine, legandolo all’immagine che pubblico, il bello ha in se un elemento di generosità e di gratuità, di estemporaneità, di non finalizzazione immediata, e di casualità che ne rappresentano una dimensione (nel mio pensiero) sostanziale.

L’ha ribloggato su trafantasiapensieroazione.
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