



Ognuno di questi quadri rappresenta una possibile sintesi, una rappresentazione, di quello che le blogger ospiti volevano dire sui temi dei primi tre bloggingday, per farli ho utilizzato Worlde , un programma che seleziona da un testo le parole più usate e la restituisce graficamente, come nuvola di parole…
In educazione diventa importante non solo l’intenzione di chi vuole educare, insegnare, mostrare agli altri, (o anche solo ciò che si pensa possa “riguardare” l’educazione), ma anche quello che questi sono disposti a farsene.
#bloggodunquesono si dispone a fare questo, oggi. Andare oltre alle parole, oppure dentro e tra le parole e vedere cosa sia possibile fare con esse, quali pensieri e stimoli riescono ad evocare, andando oltre, per farcene qualcosa.
Le persone che ho ospitato hanno offerto molte parole:
ora storie concrete di educazione che si aprono con i dubbi e le domande due blogger intendevano mostrarci del loro operato educativo, come genitore e come docente;
ora un piccolo e possibile decalogo per una scuola capace di insegnare ad essere cittadini (ottimi suggerimenti validi per molti spazi educativi);
ore parole appassionate su quanto ci faccia riflettere il comportamento pubblico di un docente. Tutte questa parole stiamo già imparando, stiamo nuovamente confrontando i saperi, stiamo aprendo il pensiero a nuove domande.
Stiamo aprendoci ad una dimensione educativa.
Siamo una strana specie imitativa, forse i neuroscienziati ci direbbero che dipende dai neuroni a specchio, in ogni caso noi si impara osservando gli altri, imitando, confrontando, ascoltando e raccontando storie: storie di come come si nasce, si cresce, si vive, e sempre insieme agli altri.
Le nostre storie esistono da sempre, raccontate nelle fiabe, nei saggi di filosofia, nelle strutture dell’architettura, nel cinema e nella letteratura. Creiamo luoghi e strutture, fisiche e non, che ci dicano chi siamo, che ci aiutino a definirne le forme e i modi.
In una continua narrazione, relativa a come accade ciò, come facciamo, cosa impariamo, come rettifichiamo il nostro sapere per adattarci al mondo che abitiamo, e agli altri che incontriamo.
Lo sappiamo, da sempre, sin dagli inizi, attorno ai fuochi che ci raccontiamo storie che insegnano, e poi costruiamo luoghi dove imparare una parte di quello che ci serve per vivere (es. scuole, corsi di formazione), e infine tramandiamo in famiglia vecchie storie che ci dicono chi siamo, da dove veniamo, cosa sappiamo. Una storia di paura è diversa raccontata in una notte di un gelido inverno, in una casa abbandonata, piuttosto che a tavola davanti ad una pastasciutta fumante.
Ma siccome siamo una strana specie complessa … ogni luogo nuovo diventa un nuovo posto per imparare, ascoltare, raccontare, spiegare le cose che sappiamo e ci sembra importante condividere, anche relativamente al posto in cui siamo, non è un caso quindi che in un nuovo posto si trattino storie di educazione, sul web appunto, per vedere cosa accade di nuovo. Ma di questo noi di Snodi pedagogici ne tratteremo ancora …
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Così una specie sociale, come questa nostra umana, trascorre molta parte della vita a condividere quanto sa con gli altri, per fare crescere il sapere proprio e quello collettivo.
Lo facciamo con i nostri figli, lo fanno i docenti a scuola, lo fanno i mille rivoli della formazione professionale, ma anche lo fa l’hobbista, siamo fatti di uno strano impasto che ci impone di imparare ancora e ancora.
Così come il ricambio cellulare ci rende nuovi e uguali, ogni fatto educativo, ogni azione che compiamo per insegnare o imparare, ci rende uguali e diversi, ci evolve rispetto a quelli che siamo.
Nei racconti, così diversi dei blogging day, questo è quanto troviamo: un narrazione e un tentativo di trasmettere quanto si è compreso della propria esistenza, ad altri, ai molti altri che nel web potrebbero leggere. Potrebbero capire un frammento di più, aver aggiunto una briciola di sapere alla propria umanità ed essere posseduti dalla stessa voglia vitale di condividerla o insegnarla ai propri figli, o alunni, ad esempio.
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“L’ascoltare si fa pedagogico e adulto allorquando, dopo un minuto o un anno, scopriamo che “quel” discorso ha continuato a lavorare dentro di noi e ci ha cambiati e, forse, ma non lo sapremo mai, ha mutato qualche pensiero o gesto nell’ascoltatore.” D. Demetrio
“Educazione non è il diventare autonomi, ma eteronomi.”
“L’educazione, ha spiegato il Presidente Shirley M. Tilghman, non consiste tanto nell’acquisire specifiche conoscenze in questo o in quel campo del sapere, ma nell’imparare gli strumenti intellettuali necessari per distinguere la realtà dall’immaginazione, saper porre domande difficili, saper osservare e interpretare, elaborare ragionamenti coerenti, imparare ad ascoltare le idee degli altri senza rinunciare alle proprie.” M. Viroli
“Parola” nel suo significato più profondo è il filo rosso di Monica.
Da lei partono quelle narrazioni, le storie dei singoli individui che, come gocce, vanno a formare l’oceano dell’esistenza.
Parola che assieme ad altre, costituiscono il vissuto di ognuno e al tempo stesso ricchezza comune; parola che dona senso alla vita, individuandone i contorni perché il proprio disegno possa prendere, intenzionalmente, forma in armonia con quello altrui.
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