L’incontro con una scuola che, declinata nei suoi vari ordini e gradi, sembra fare del muro di gomma il suo primo modo di incontrarsi, è una sensazione/ frustrazione sperimentata nel tempo, in misura maggiore come madre, ma anche come educatore professionale, o coordinatore di servizio.
È una sensazione sconfortante, quella che fa partire avendo voglia di andare “a scuola” per parlare incontrarsi chiedersi confrontarsi per ritrovarsi di fronte una sorta di decalogo delle risposte stereotipate, replicabili sempre uguali negli anni.
L’incontro che si trova è quella con scuola che attacca e si deve difendere ancora prima di aver incontrato, di aver capito la domanda, di aver guardato in faccia i suoi interlocutori. L’unico ordine scolastico che sembra ancora pronto e curioso dell’incontro è quello della scuola dell’infanzia e parte della primaria, in cui la curiosità per i bambini si sfuma velocemente in un facile incontro con i genitori, (o con gli educatori professionali) con cui intrecciare dubbi, domande e risposte reciproche.
Ho però una esperienza assai divergente, relativa al periodo dell’incontro con la scuola come educatore professionale, nel servizio di assistenza scolastica.
L’educatore professionale entra nella scuola scuola per affiancare e compensare le oramai sempre più scarse ore offerte dagli insegnanti di sostegno, oberati da un numero crescente di alunni, e da un sempre più ridotto di ore; l’intervento educativo esterno va ad interrare l’orario di sostegno integra laddove i comuni hanno la possibilità economica di offrire alla scuola questo servizio. L’educatore arriva quindi anche per togliere un problema alla scuola, ed è percepito talvolta solo come “quello che toglie dallo sguardo l’alunno problematico”, sia esso il ragazzino caratteriale, o il bambino disabile, è quello che può permettere la continuità didattica al resto della classe … Anche se la percezione degli operatori esterni (gli educatori) è spesso quella di essere delle figure poco stimate, appena tollerate, un male minore necessario, ma sempre un male minore, e comunque sempre estraneo al corpus scolastico.
Il lavoro inizia davvero solo dopo che si è riusciti ad insegnare agli insegnanti che si è … colleghi formati e addirittura laureati, e comunque in possesso di vari titoli di studio, tutti legittimanti. Allora la presenza educativa, dopo una partenza sotto traccia, sobria appunto, comincia da insegnare, lasciare segni e tracce, ad acquisire credibilità. Diventa un ponte non solo verso l’alunno in difficoltà, ma un tramite che spiega a contestualizza l’alunno nel suo essere bambino, soggetto di cure familiari, e/o di interventi di sostegno dei servizi della neuropsichiatria, o di altri servizi territoriali. Traduce e chiarisce l’incontro con un bambino autistico o dei tratti sociopatici. Rappresenta e racconta il lavoro di rete nelle concretezza delle parole e delle azioni, spiega e offre saperi, costruisce opzioni alla didattica, interviene nella de-costruzione dei contenuti affinché siano accessibili anche a chi fatica a incontrarli sul piano cognitivo, valorizza i saperi trasversali proprio di quegli alunni che creano maggiori fatiche alla scuola. Nel frattempo anche l’educazione comincia ad imparare a stare nella scuola, trovando significati nella sobrietà*, negli spazi residuali offerti (la stanzetta di sostegno) siano essi fisici che “metafisici”, restituendoli come sguardi ai docenti, mostrando una presenza che marca il territorio in modo meno plateale, e lo fa .. incominciando a creare nuove culture. Laddove la scuola è abituata, quale struttura monolitica** , ad incontrare/riconoscere con maggiore facilità le strutture/culture di simile portata (la neuropsichiatria, la sanità, il comune, i servizi sociali), a riconoscere con maggiore facilità i “poteri forti” e le organizzazioni fortemente strutturate. ... questo incontro si fa faticoso ma interessante.
Ma da qui in poi diventa fondamentale l’auspicio che anche la scuola impari a raccontare e raccontarsi la preziosità di questi incontri e meticciamenti, valorizzando i reciproci apprendimenti che permettono di riafferrare il bandolo della matassa educativa; il quale sembra essere, per la scuola sempre più fuggente.
NOTA
sobrietà* valore non scelto, ma connesso alla permanenza a scuola.
monolitica** una struttura fortemente organizzata, su un pisano normativo nazionale, con regole che valgo per tutte le scuole, dotata di una scarsa autonomia progettuale, e fortemente dipendete da un potere centralizzato che determina le regole valide “universalmente” (la burocrazie, i programmi, gli orari, i libri di testo; le forme organizzative etc etc etc).