L’etica (dal greco antico εθος (o ήθος)[1], èthos, “carattere”, “comportamento”, “costume”, “consuetudine”) è un ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico ovvero distinguerli in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.
Tentando il bilancio di questa nuova professionalità, o meglio della nuova forma che la consulenza pedagogica permette ai pregressi 25 anni di lavoro in ambito educativo, emergono dubbi e domande.
Premetto per necessità di aver trovato eticamente compatibile con la mia formazione, tanto il lavoro per una struttura pubblica (ambulatorio di neuropsichiatria infantile) quanto quello pluriennale in una cooperativa sociale.
Due concetti ne ho mutuati.
Uno: come quello pubblico possa davvero essere un servizio attento e aperto alla collettività, capace di accoglienza e cura, e al contempo incapace di dimenticare di essere una “res pubblica”, una “cosa pubblica”, un bene collettivo e necessario, un luogo di tutti. Un esempio di civismo responsabile, che educa al civismo, mostrando la capacità di rispettare l’utenza, di erogare prestazioni professionalmente di buona qualità, di rispettare il lavoro di chi appartiene al servizio, di offrire una alta qualità a chi lo interroga portando un bisogno delicato, una fragilità, una domanda.
Due: come quella cooperazione sociale che opera in ambito educativo, di assistenza e cura, sia un luogo possibile del lavoro e di una cultura che si interfaccia con il servizio pubblico, senza mai diventare davvero privato (profit); restando a scavalco tra l’impresa e la missione sociale. Una cooperativa sociale può davvero introdurre quello sguardo civile, politico (cura della polis, dei cittadini e dei loro bisogni, e problemi), ed educativo, che aiuta gli altri operatori della rete (scuola servizi etc) a prestare attenzione alle parti più affaticate e discutibili e faticose della vita di una società (disagio familiare, dipendenze, disabilità etc).
Come si interfaccia la consulenza pedagogica che cerco di praticare con questi due consuetudini, queste due etiche, che per loro struttura possono incidere più o meno profondamente nella società? Può avere una incidenza pubblica una consulenza privata? Ancora non so, le varie appartenenze professionali, mi pongono diverse domande nella pratica quotidiana. Così uso anche altre prospettive per vedere meglio.
La rete, quella web, oltre che quella esistente negli incontri nel mondo del lavoro, mostrano un proliferare di forme di consulenza e consulenti, che si esercitano come profit, come professionisti dell’educazione. Mostra anche le molte scriminature, le debolezze, le incongruenze, le scorrettezze e la “guerra” sotterranea tra paradigmi e professioni, tradimenti in fior di tastiera, o di clientela.
Mostra il professionismo anche come forma narcisistica della propria abilità, atta a procacciare clienti, mostrandosi tutta nella propria estetica.
Questa ultima potrebbe essere una osservazione in parte inutile visto che è del profit avere questa abilità o necessità: per vendere bisogna piacere, attrarre, offrire bei prodotti. Sbaragliare la concorrenza, mostrarsi più abili, o esser solo più furbi e strategici. O peggio iniziare la guerra dei maestri (o dei maestrini) per il paradigma più “figo” o accattivante degli altri.
Eppure la domanda sulla funzione pubblica, civile, etica, politica (nell’accezione di cura della “polis”) dell’educare e di chi pratica educazione resta come un tarlo, come l’ onda lunga che amplifica i cerchi nello stagno.
L’educazione può essere privata e privatizzata o privatizzabile, cosa succede quando perde questa connotazione, quando dimentica l’ethos, ha bisogno di questa dimensione etica?
Cosa deve essere una consulenza pedagogica perché l’educazione continua ad essere formativa sino in profondità?
Che forma deve avere? Che comportamenti assumere, quale netiquette inventarsi?
Nota a margine, la rete (web) ha il potere mostrare e svelare le aree nascoste, è una terra con una etica fluttuante, con zone prive di etica, e zone che la inventano, o ne inventano nuovi modi; e le professioni, o almeno la professione educativa può imparare molto dall’attraversare questa terra a rischio, destinata a svelarne le sue incompetenze o incoerenze, o le domande irrisolte sulla propria funzione.