Emozioni non professionali

Il caso di Padova, quello del bimbo allontanato dalla scuola dalle forze dell’ordine in esecuzione di un decreto giudiziario ….

Salomone e il figlio conteso
Salomone e il figlio conteso

Almeno questo è quanto immagino sia successo, visto che non mi sono premurata di leggere le cronache, che stanti i titoli dei giornali, probabilmente trasudavano e grondavano scientemente del più bieco trash mediatico.

Ma la notizia ha funzionato, tant’è che i gruppi di professionisti dell’educazione che seguo socialnetwork, ne hanno parlato quasi a livello di flame.

Tutti siamo stati travolti dalle emozioni viste e dichiarate, le urla del bimbo, il gesto autoritario, la polizia, il bambino rubato, la scuola, il vederlo accadere in diretta, la presenza ormai onnipresente dei telefonini che mostrano tutto ….

Ci sembra di aver visto tutto e di saper tutto. E a quello ci ribelliamo. Profondamente. Ci si ingarbugliano gli intestini. Rabbia e dolore per ciò che vediamo, ci attanaglia.

Il padre o la madre, a seconda della prospettiva scelta sono carnefici o vittime. I servizi e la polizia, sinonimo di stato autoritario, dittatoriale, violento (scomodando impropriamente quanto accaduto a Genova nel G8 2001 e alla Diaz) .. tutti sconvolti ad urlare la propria rabbia contro la violenza assistita.

Contro il diritto violato di un bambino.

Contro uno Stato che si arroga il diritto di violare la genitorialità …

Ma … per fortuna (mia) l’aver lavorato a lungo nel settore mi permette di prender fiato, di fare sbollire la prima impressione, di sostare nei ricordi lavorativi.

E penso che siamo tutti molto fortunati per la presenza dei nostri servizi sociali, i tribunali dei minorenni, delle assistenti sociali, e perfino (lo ammetto a fatica) degli allontanamenti coatti. (nonostante le criticità che chi opera all’interno conosce e fischiata, penso alla nostra fortuna di vivere in un paese in cui questi servizi, questi strumenti ci sono).

Perché stanno al servizio del diritto dei minori, prima ancora che della potestà genitoriale, stanno lì a barriera delle famiglie patologiche e distruttive, delle violenze assistite e procurate, degli abusi sessuali e psicologici, della povertà, dell’incuria, della malattia e del disagio, stanno a difendere i bambini.

A volte sbagliano, certo.

Ma il principio è sacrosanto, si difendono i bambini quando la famiglia (padre e/o madre) è dimentica dei diritti di un bambino ad avere diritti, quando un bimbo diventa proprietà di uno (genitore), oggetto di contesa, di abuso o sevizie, strumento di ricatto.

E se la lettura fosse che lo stato si  deve arrogare  il dovere (e non il diritto)  il diritto di tutelare un minore, tutti i minori, e il futuro dello stato stesso?

Cosa è davvero successo a Padova?

La nostra rabbia, chi dovrebbe tutelare? I bambini? I genitori? Noi stessi?

Forse dobbiamo solo chiederci il perché di questa forzatura, perché un allontanamento così grezzo; ma forse e sopratutto dovremmo arrovellarci con una domanda: perché una nuova cultura della separazione, delle nuove famiglie, non riesce a decollare. E perché i figli continuano ad essere soprattutto “oggetti” della genitorialità e non soggetti di diritto a cui tutti dovremmo pensare, stante il loro ruolo di futuro prossimo venturo.  Fututo loro,  ma anche il nostro.

Che senso ha l’educazione se non ribadire questo concetto, laddove la genitorialità, anche la mia (come madre) è quotidianamente costellata da incontri con i vari professionisti dell’educazione,  che ogni giorno mi aiutano capire chi siano le mie figlie; e mi mostrano come  i loro incontri permettono alle bambine di collocarsi  in seno ad un contesto sociale.

Allora questo allontanamento mette in luce la domanda di chi siano i figli, e “chi” siano i figli? E  quali strumenti chiediamo (dobbiamo chiedere) allo stato perché siano educati al meglio possibile, e  per renderci essere genitori più competenti, o professionisti più capaci di usare ogni mezzo per esercitare l’educazione, la tutela, il sostegno.

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