Ho in mente una recente formazione rivolta ai genitori di preadolescenti, una di quelle che rendono molto piacevole fare il lavoro che faccio.
I genitori erano stati condotti a riflettere sui modi possibili usati dai propri figli per comunicare a quell’età, e quindi anche con gli “atteggiamenti”, l’abbigliamento, silenzi e distanze.
Un pò per tutti i genitori le scarpe da tennis dei figli sono state elette ad oggetto simbolo dell’età simbolo che unisce, o distanzia dal gruppo, che comunica l’appartenenza ad un sottogruppo (stringhe nascoste? allacciate dentro e sotto la linguetta? allacciate al contrario? assenti??), che indica le possibilità economiche della famiglia. Scarpe capaci di rappresentare e permettere l’incontro genitori figli, impegnati in un dialogo infinito su tipo, modo, tempo, costo, desiderio, capriccio, opposizione, indipendenza …
Un padre, sottile osservatore, ha detto che spesso i figli passano il tempo a guardarsi i piedi e le scarpe, a testa bassa.
Qualche genitore ha postulato la voglia di non comunicare.
Ma questo padre ci ha aperto una possibilità che nessuno, sino a quel momento, aveva nemmeno immaginato.
A suo avviso che i figli si guardano i piedi perché camminare è il primo grande simbolo dell’autonomia nel bimbo piccolo, che ad un anno ci si stacca dalle gambe dei genitori e si avvia sulle proprie gambe alla scoperta del mondo. E le prime scarpine sono simbolo di questa possibilità, danno certezza e stabilità ai piedini inesperti, almeno nella nostra società.
E ha aggiunto che forse per questo le scarpe diventano per i ragazzi/le ragazze un oggetto simbolicamente potente, nello scambio comunicativo con i genitori.
E che infine guardarsi i piedi mentre si cammina è un modo di capire chi si è quando è ancora troppo presto per chiedersi dove si vorrà, potrà, o saprà andare …
Segue
l’incipit incuriosisce assai….
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