Storie per l’ Agorà (Storia di Bianca)

di Monica Massola

La storia di Bianca l’ho scritta per l’Agorà*, in relazione al tema del Violare la Violenza, dove ciò che occorreva provare a rintracciare era (ed è) rapporto tra violenza ed educazione, leggendo tra i confini di due parole, che nominalmente vengono sempre ritenute distanti. A seguire quella che è stata la proposta tematica da sviluppare per l’Agorà*, cui segue la Storia di Bianca. Per come per molti un nuovo modo di ascoltare, leggere, e scrivere ciò che accade in educazione.

Francesco Somaini - Lotta con l'angelo - 1951 Bronzo
Francesco Somaini - Lotta con l'angelo - 1951 Bronzo

L’educazione è una struttura di potere, visto che l’uno mette nelle mani dell’altro delle cose importanti per la propria vita come la possibilità di imparare ad affrontare i pericoli e si trova anche nella necessità di mettere in conto che, nel farlo, l’altro possa sbagliare. E’ necessario riconoscere questa struttura di potere e provvedere a una sua limitazione. Se la struttura di potere implicita nei processi educativi non viene in qualche modo limitata, il pericolo che il potere impedisca di crescere, o che finisca col costruire contesti perversi di dominio, non importa se di amore o di brutalità, si fa esponenziale. All’interno di questa sfera di pericolo trova spazio la violenza, intesa quale uso intenzionale di questo potere prevaricante che, minacciato o reale, può portare danni, compromissioni o deprivazioni.In alcuni casi i rischi della violenza si presentano anche quando l’educazione, percependosi come dispositivo “debole”, non si rende conto del proprio reale potere e può esprimere in modo incontrollato le derive della propria forza. Violare la violenza, significa nominarne l’esistenza in educazione e correre il rischio di relazionarsi ad essa per prenderne coscienza e gestirne le possibili derive. Violare la violenza significa chiedere ai corpi di incontrarsi e scontrarsi in modo diverso, rischiando il confine dell’illegittimità; significa chiedere alle emozioni di essere nominate e alle parole che ne derivano di essere pronunciate per comprenderne il peso che possono assumere nell’esistenza dell’altro. Del resto, se non si rischiano i confini per educarsi a coglierli e rispettarli, “violenza” resta solo una parola pronunciata magari con piglio di condanna, ma vuota di esperienza.”

*Ma cos’è l’Agorà? 

AGORA’ è luogo di narrazioni, luogo in cui far convergere storie educative.

Non una conferenza. Non una tavola rotonda. Non un dibattito. Cerchio di ascolto e di parola in cui le storie narrate evocheranno in ciascuno altre storie. La piazza delle storie educative.

Dopo il Convegno del 7 ottobre 2010, CHInonRISCHIAnonEDUCA propone tre AGORA’ per addentrarsi nel tema “Rischio e educazione” 

  • L’educazione come nutrimento ovvero della cura e della libertà 
  • Il viaggio educativo in alto mare ovvero della seduzione e dell’avventura
  • La violenza educativa, ovvero violare la violenza

 “Chi vuole educare non può non rischiare la propria immagine e non accettare di discutere ciò che è già dato, ciò che appare scontato o indiscutibile. Compresa l’educazione stessa che va colta non solo come strumento per affrontare i mosti, ma anche come luogo che talvolta li produce.

L’educazione, insomma, è un rischio e l’unico modo per evitare di rifuggirla, aspirando a un controllo assoluto quanto impossibile o di smarrirsi nei labirinti della paura, è assumersi sino in fondo il rischio educativo.

Chi non rischia non educa è un’occasione di riflessione per l’individuo e la comunità nel suo complesso. E’ un contributo delle e alle culture pedagogica, formativa e organizzativa che crediamo abbiano il compito di elaborare gli sguardi e gli strumenti necessari per presidiare consapevolmente i luoghi del rischio.”

Per info dettagliate sull’Agorà pagina Facebook CHInonRISCHIAnonEDUCA

Compagnia di Virgilio Sieni - L'Arte del gesto
Compagnia di Virgilio Sieni - L'Arte del gesto

STORIA DI BIANCA

A distanza di quasi venti anni continuo a pensare che sia, questa, una di quelle storie di educazione alle quali ci si sente onorate di aver partecipato. Laddove il bilancio tra ciò che si (ap)prende e ciò si lascia  …si dissolve un breve incredibile momento.

Quello dell’incontro

Bianca è una ragazza con un fisico da preadolescente,

chiusa negli stretti confini di disturbi psicotici, tratti “autistici”,

è anche ipovedente”,

è incapace di comunicare a parole,

seppur dotata di una certa autonomia personale.

E’ “figlia” tanto di sua madre che di quella rosolia contratta in gravidanza dalla sua mamma,

che ha definito “questa“ vita,

per lei e per sua madre:

donna amorosa e fragile, dolorosa e rabbiosa,

quasi arresa davanti alla difficoltà di contenere questa figlia.

 

I confini del mondo di Bianca, sono definiti dal tocco delle mani, usate per percorrere e sfiorare muri e stanze, o per capire le persone.

A volte Bianca trova il confine con l’udito, dal suono emesso dagli oggetti lanciati lontano, quando toccano un muro o il pavimento.

Anche così si capiscono le distanze, e gli ostacoli (tavoli, sedie compagni, educatrici).

Accade però, abbastanza spesso, che il confine stia lì, proprio dove la sua rabbia esplode; contro se stessa. O contro le porte, sistematicamente sfondate con i pugni.

Le è difficile capire dove le “cose” iniziano e dove finiscono, occorre andarci contro fino all’eccesso.

Anche se poi il confine arriva dagli psicofarmaci; mai lesinati dal neuropsichiatra, di turno, in quel reparto che è “casa” sua.

Ci sono poi  altre volte  in cui Bianca si ferma dove incontra le maniere brusche, di qualche collega.

Chissà perché il gruppo delle sue educatrici, quattro come i moschettieri, hanno deciso che Bianca valga la pena di essere incontrata diversamente:

sconfinando nel suo mondo,

sconfinando i limiti del corpo.

Così si è innescata una battaglia, durata mesi, combattuta nei momenti più bui, tra l’educatrice in turno e Bianca, aggrovigliate in una lotta strenua; su un materasso in dotazione in reparto.

Lei alla ricerca di una violenza che definisca qualcosa, l’educatrice alla ricerca di uno stop a quella violenza. Le quattro educatrici offrono i loro corpi contro il suo; battere loro invece del suo corpo.

Le colleghe di altri reparti, sembrano scandalizzate da quel trattamento, “chi ve lo fa fare?”. perché lottare quando c’è la chimica, assai più veloce e rapida? “

Anche mariti e i fidanzati non riconoscono bene quelle mogli e fidanzate, le educatrici in questione, che tornano a casa stanche o con i lividi, spesso sfinite dalla lotta con Bianca.

Lotta: rabbia contro rabbia.

La sua e la loro, piena di domande senza risposte (“perché Bianca? “ – “perchè lo fai?” ).

Come se ci fossero risposte possibili.

E loro che devono, ogni “santa” volta dare forma alla loro rabbia perché diventi altro.

Non un atto violento e incontrollabile, come quello di Bianca, ma una forma di un possibile un dialogo tra i corpi.

Devono trovare come il modo di rendere lo scontro “incontro” e definizione di confini, nuovi ma anche permeabili: tra lei e loro.

Io, tu, noi.

Si obbligano e la obbligano in incontro teso e fortissimo, in cui la sconfitta fisica di Bianca, possa diventare diventare la vittoria per il noi “tu ci sei, io ci sono”.

Io, tu. Noi.

Non una pastiglia, non una siringa, non la chimica; noi.

Lentamente la lotta si trasforma, diventando più sottile e raffinata; finchè non si ricolloca in una piccola piscina interna, colma di acqua calda.

Una lotta che sconfina in altro, e il gesto violento si infrange contro la fluidità dell’acqua, fino a trasformarsi in un incontro di corpi, di singoli gesti. E in un gesto fatto quasi “per “ gioco, quasi per ridere. E qualche volta, davvero, Bianca scoppia in una risata limpida e nitida.

Bianca smette di picchiarsi e sfondare porte; basta il contatto con i corpi delle sue educatrici, il loro tocco di un mano. Alle volte il suo dolore diventa pianto consolabile con un abbraccio.

Anche la mamma scopre che può reincontrare Bianca, ritrovando – con maggiore fortuna – una figlia, comunque amatissima.

Piccole conquiste, quasi infinitesimali,

Credo che il tempo abbia bonificato il mio ricordo, anche di quelle lotte sul materassino, in cui ciò che era più duro .. era contrastare la propria violenza che quella di Bianca.

Quella che nasce, quasi innata,

davanti all’incontro con l’altrui violenza,

e all’attacco contro il proprio corpo, (lividi, calci e pugni)

e in preda al timore di sentirsi violate.

Violenza che viene fuori dalla voglia di ribellione,

e di rendere pan per focaccia.

E invece bisogna riuscire a stare quasi immobili sul quel limite, quasi insostenibile, dove la violenza è buia eppure riesce ad essere incontro.

Resistenti  in bilico su quel confine delicato dove i corpi si violano reciprocamente.

Eppure alla fine si trovano e incontrano.

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