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- i nomi nel blog. generalmente o con maggior precisione, preferibilmente transito attraverso blog di donne/mamme multitasker (si dirà così?); talvolta in qualche blog al maschile. al di là dà di ogni personalissimo criterio di scelta, una questione salta all’occhio. … chi “si” scrive in un blog narra le proprie vicende usando diminutivi, stralci (veri o apparenti) di lessico familiare per descrivere figli, compagni, mariti, amici e colleghi, assai più raramente appaiono i nomi reali. nella descrizione di se stesse le “blogghesse” usano altrettanta fantasia e creatività, sia nei profili, nelle icone, nella descrizione del proprio reale. spesso lo stile è brillante e corrosivo, o dolce e melanconico e via dicendo. forme – icone – html – colori – banner – immagini – colori. chi osserva da fuori ha la sensazione di tensione a mettere un velo, un filtro tra vita reale e narrazione nel blog, anche quando ciò che è narrato corrisponde sia ad una realtà precisa, a sentimenti ben definiti, emozioni e turbamenti. tutto ciò sembra essere una sorta dinecessaria finzione scenica, una maschera attoriale in cui l’attore narra se stesso attraverso un personaggio, un artificio. senza mai smettere di esplorare, ricercando nei meandri nella propria vita, ciò che poi verrà detto davvero in un teatro virtuale. da qui vedo un collegamento con un aspetto del mio lavoro: la scrittura quando sorga la richiesta di fare la stesura di una relazione psicomotoria o educativa. negli anni ho maturato uno stile che necessariamente mi vede scrivere, parlando di me, dei miei interventi, di situazioni e conversazioni, avvenimenti, crisi e cambiamenti, restando una persona terza. allora ed oggi (mi) è necessario rappresentare quelle esperienze attraverso una “finizione” che permetta di allontanarmene e guardarla da lontano, per raccontarla con lucidità, nitidezza e la maggior astensione dal giudizio possibile. ciò vuole dire esplorare i dati senza sentirsi troppo sulla scena, senza essere troppo “io persona”; in quel contesto lavorativo deve esserci il “sono io” professionale/professionista. una sola parte di me in azione. il resto del “mio bagaglio personale”, pur entrando di forza nella dimensione lavorativa …(il fatto è che sono io ogni mattina che va lì e lavora non il mio vestito professionale”), ne resta di fatto marginale. come in un blog? è una ipotesi sostenibile?
