L’educatrice con cui conduco il laboratorio, oggi, mi dice che i partecipanti non sembravano nemmeno disabili.
E’ vero. E’ un gruppo che lavora con il corpo e sul corpo, che comunica con il corpo e poi usa le parole per ri-narrare, rappresentandolo, ciò che ha imparato e ciò che ha visto, di se e degli altri. Per se e per gli altri.
La disabilità è un accessorio che abbiamo lasciato per strada, nessuno ne aveva più bisogno dopo tre anni di lavoro comune.
Il corpo è corpo comunque, comunica comunque, si muove, interagisce, sperimenta, scopre, tocca, sfiora, spinge, ascolta sempre e comunque.
Accssoriamente loro sono disabili. Prima corpi sensomotori, psicomotori, emozionali, e poi corpi narranti ….
Corpi che come scrivevo, assai più ingenuamente nella dedica della mia tesi di psicomotricità nel 1992, che sono case e che come dice Bertherat:
In questo preciso istante, nel punto in cui ti trovi c’è una casa con il tuo nome.
Ne sei l’unico proprietario, ma, molto tempo fa nei hai perduto le chiavi. Cosi’ ne rimani chiuso fuori, e ne conosci soltanto la facciata, non ci abiti.
Questa casa, rifugio dei tuoi ricordi più nascosti più lontani, è il tuo corpo.
La strada psicomotoria oggi è stata quella che ha reso alcune chiavi di quella casa.
Qualcuna a me, qualcuna ad ogni membro del gruppo.